C’è un Nome sotto il cielo
Gerusalemme,
tre del pomeriggio. Pietro e Giovanni salgono al tempio per la preghiera,
nell’ora dell’offerta dell’incenso. E’ facile incontrare dei mendicanti, nelle
vicinanze. Uno di loro, infermo dalla nascita, staziona nel punto più vicino
che gli è consentito, la porta Bella, che segna il confine tra il cortile degli
stranieri e l’atrio delle donne.
Quei
galilei non hanno denaro. Pietro guarda il mendicante tendendogli la mano:”Nel
nome di Gesù il Nazareno, àlzati e cammina”. Ed entra insieme con loro nel
tempio, saltando di gioia e lodando Dio:
Lodate il
Signore perché è buono, il suo amore è per sempre.
Il Signore
mi è accanto e mi sostiene (Salmo 117/118).
Sul far
della sera, Pietro e Giovanni vengono messi in prigione. Il giorno seguente
sono fatti comparire davanti al sinédrio. Pietro dice: “Se quest’uomo vi sta
innanzi risanato, è nel nome di Gesù, il Nazareno, che Dio ha risuscitato dai
morti: non vi è sotto il cielo altro Nome nel quale è stabilito che siamo
salvati.
Il suo nome
è il nostro respiro, è il respiro della terra.
Noi non
possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (Atti degli Apostoli
4,5-20).
Aveva detto
Gesù insegnando nel tempio, in prossimità della festa di Hanukkah: “Sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. L’immagine del pastore e del
gregge sembra la più efficace per indicare chi è Gesù; ed ebbe grande fortuna.
“Il pastore, quello vero, mette a repentaglio la vita a favore delle pecore. Io
conosco le mie pecore e le mie pecore mi conoscono, come il Padre mi conosce”.
Il pensiero
di Gesù risale al Padre: offrendo la
propria vita, Gesù completa la conoscenza del Padre e dei suoi.
La libertà
di donare la vita da parte del Figlio sottolinea fino a che punto le pecore gli
stiano a cuore; ed è l’espressione dell’amore e della fiducia tra Gesù e il
Padre: “La vita nessuno me la toglie, Io la dono liberamente. Ed ho altre
pecore ancora, che però non stanno in questo recinto: anche ad esse Io farò da
guida e udranno la mia voce”. E’ bello questo sguardo di Gesù, che vede
lontano.
Giovanni è
il discepolo che rimane (21-22) e tiene viva l’attesa della venuta del Signore,
di poter rivedere il Suo volto.
Al Signore
andiamo incontro attraverso l’approfondimento della sua parola e la fede in
Lui: “Saremo simili al Figlio” (S. Beda). Andiamo incontro a Chi conosciamo
già: nella parte più intima del cuore Gesù ci fa sperare che saremo simili a
lui, perché lo vedremo così come egli è (I Lettera di Giovanni 3,1-3).
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DOMENICA – 28 Aprile V di Pasqua
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