venerdì 1 maggio 2020

Domenica, 3 Maggio 2020 - IV domenica di Pasqua (A)



Continuano le misure per contrastare il “coronavirus”.

I fedeli non possono partecipare alle S. Messe.  Nel rispetto delle regole imposte dall'emergenza possiamo pregare nelle nostre case, piccole chiese domestiche.

Per chi ha fede,  il silenzio, la preghiera in famiglia, la penitenza e le opere di carità sono già un antidoto ai virus dell'indifferenza, dell'egoismo, dell'odio, del pensare solo a se stessi, frutti di satana, spirito del male.

In questo mese di maggio, anche su indicazione del Papa, siamo invitati tutti a recitare il S. Rosario.                    
                                                                            Don Vito Pegolo

Di seguito sono riportati il brano del Vangelo di oggi e il commento che ci aiuta alla sua comprensione.
Vangelo: Gv 10,1-10
Dal Vangelo secondo Giovanni

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».


SIMON PIETRO, DA PESCATORE A PASTORE
(commento del diac. Silvano Scarpat)

Nella luce del Signore risorto, sotto la sua guida vivente, iniziamo da questa Domenica a rileggere le Sue parole - quelle che i testimoni hanno ascoltato e trasmesso - a partire dal Vangelo del buon pastore (Giovanni 10).
Tutta la Sacra Scrittura parla di Gesù:
Il Signore è il mio pastore,
di nulla mancherò...
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerò alcun male: Tu sarai con me.
Dal tuo bastone, dal tuo vincastro
mi sentirò protetto.
Felicità e grazia
per la vita, mi inseguono” (Salmo 23).

Gesù per dirci quanto ci vuole bene ha usato l'immagine del pastore, delle pecore e del gregge. Sembra che allora in ogni piccolo villaggio ci fosse un unico ovile, custodito da un guardiano. Ogni pastore andava a prendersi le sue pecore per portarle al pascolo, le chiamava per nome ad una ad una: le pecore conoscevano la voce del pastore, uscivano e gli andavano dietro.
Gesù è “la porta” dell'ovile: lui fa entrare le sue pecore e le fa stare al sicuro, le fa uscire e cammina davanti a loro. Le pecore si stringono al bastone del pastore, che dà loro sicurezza. Gesù è il pastore, quello vero, che di fronte al pericolo non fugge. “Io sono venuto – dice – perché abbiano una vita e un traboccare di vita”. Per indicare la vita viene usata la parola “zoè”, che sta ad indicare una vita di grande respiro, che si avvicina alla vita stessa di Dio.
San Pietro, ormai vecchio, nella lettera che scrive e manda alle comunità dell' Asia minore “per mezzo del suo fedele fratello Silvano”, riprende l'immagine del pastore (seconda lettura): “seguite le sue orme”, dice. Si rivolge qui in particolare agli schiavi cristiani, che non avevano sempre una vita facile: Gesù, insultato, non rispondeva con insulti, trattato male non minacciava di vendicarsi: si affidava in piena fiducia al Padre. E poi, in uno squarcio di sereno, “le nostre colpe, assieme al suo corpo, sono finite inchiodate a quel legno”, alla croce: Pietro, per un attimo ricorda le sue disavventure di allora (diceva il Papa in una delle prediche quaresimali: “Dio ricorda tutto, ma non le nostre colpe”). “Le sue trafitture ci hanno risanato”.
L'evangelista Giovanni, amico e un po' anche antagonista di Pietro, racconta che, dopo la Risurrezione, sul lago di Galilea si era radunato un gruppetto di discepoli, i più rappresentativi, forse per riprendere il lavoro di pescatori. Il Signore risorto fattosi presente “per la terza volta”, affida a Pietro l'incarico di prendersi cura del gregge: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene? “ Pietro gli risponde: “Tu sai tutto, Signore, tu sai che ti voglio bene”. “Conduci al pascolo i miei agnellini! Conduci al pascolo le mie pecore!” (Giovanni 21).
C'è un gioco di parole: nel dialogo con Pietro, Gesù inizialmente aveva usato un verbo di significato più universale e formale (agapào) per dire “voler bene”. Pietro risponde sempre con un altro verbo, “filéo” “che impegna le persone nella concretezza delle loro relazioni, chiama in causa l'affetto, la capacità di attaccamento, sottolinea l'affettività, sensibile e spirituale nello stesso tempo”. Il Signore alla fine gli va incontro, è Lui a cambiare. Questo pensiero mi emoziona. Voler bene a Gesù così: ecco indicato semplicemente anche il nostro percorso, la via della vita e di “un traboccare di vita”.


Immagine:
Aquileia: Il buon pastore. Mosaico. Pavimento della basilica. Prima metà del IV secolo.