Abacuc, un chicco di senape e il gelso
Un nuovo discorso Gesù rivolge ora ai discepoli,
particolarmente agli apostoli (Luca 17,1-10).
Li esorta, prima di tutto, a non essere d’inciampo a
quelli che tra loro sono i più fragili.
Un aspetto importante dell’attenzione a questi piccoli
è il perdono delle offese: “Anche se per sette volte in un giorno tuo
fratello si rendesse colpevole verso di te e ogni volta ritornasse da te per
chiederti scusa, ogni volta tu gli perdonerai”.
Allora gli apostoli dissero al Signore: “Ma come è possibile fare questo?”
E il Signore rispose: “Se
aveste fede nella misura di un chicco di senape, questo gelso così ben
radicato nel terreno lo potreste sradicare e trapiantare nel mare”.
Ma, come i farisei, anche gli
apostoli sono rimasti dentro la logica degli obblighi da osservare. “Hanno poca
fede perché la fede è un dono, un favore dovuto ad un amore speciale, mentre
essi sono ancora in uno stato di semplice servitù, fatto di obblighi e non di
favori” (parabola del padrone e del suo schiavo): “Voi vi considerate servi
e nulla più”.
O Dio, che esaudisci le preghiere del tuo popolo
oltre ogni desiderio e ogni
merito,
effondi su di noi la tua
misericordia,
perdona ciò che la coscienza
teme
e aggiungi quello che la
preghiera non osa sperare (Colletta).
Paolo viene riportato in carcere, a Roma. Da lì
scrive un secondo messaggio a Timoteo,
il continuatore di tutta l’opera sua.
Dopo il saluto, la presa di
contatto è serena, bellissima.
Sono grato a Dio perché
ininterrottamente serbo il ricordo di te in queste mie preghiere, desiderando
tanto di vederti.
Il Signore ci trasse in salvo
in base a un suo personale progetto e grande amore, reso manifesto ora mediante
l’apparizione del volto di questo salvatore Gesù, che destituì la morte e fece
brillare una vita per sempre, mediante questa buona notizia.
So bene in chi ho riposto
ormai la mia fiducia. Sii fedele a questa gloriosa consegna (1,1-14).
Abacuc - il suo nome significa ‘ardente’,
‘appassionato’ -, profeta contemporaneo di Geremia, tiene viva la speranza a
Gerusalemme e nel piccolo Regno di Giuda, accerchiati dai babilonesi, mentre il
Signore sembra non udire e rimanere spettatore inerte dell’oppressione.
Il profeta è come una sentinella
sul bastione, in vigile attesa.
Il Signore mi rispose e disse:
“Scrivi la visione e incidila
bene su tavolette
- la scrittura, più ancora della
parola, è già un inizio di realizzazione, produce quanto annuncia -.
E’ una visione che attesta un
termine:
il giusto, il popolo erede
delle promesse, per la sua fede vivrà” (1,2-3; 2,1-4).